La quarantena inventata dal parroco di Massiola

La quarantena inventata dal parroco di Massiola

L’immagine di don Migliacca

La quarantena inventata dal parroco di Massiola. Nel 1816 nel paese della valle Strona dilagò una epidemia di tifo Anziché ricorrere a processioni, obbligò la sua gente a stare in casa

La zona rossa e la quarantena chiusi in casa? Erano state inventate già due secoli fa da don Pietro Antonio Migliacca, parroco di Massiola, paesino che oggi conta poco più di cento abitanti ma che nel 1818 arrivava a 350 anime. Quell’energico e carismatico sacerdote fronteggiò una letale epidemia di tifo petecchiale senza trasformare la chiesa in lazzaretto, ma chiedendo alla sua gente di restare in casa e impedendo a chiunque di entrare e uscire dal paese. Non era il coronavirus, ma qualcosa di molto più letale.

Con queste sue decisioni, allora controcorrente, impedì la diffusione del contagio, che rimase circoscritto alla sua comunità, e salvò gli altri paesi della valle Strona. Un’intuizione geniale per l’epoca quando, per fronteggiare un’epidemia, si ricorreva a messe e processioni, aumentando così le possibilità di diffusione. «L’inizio del 1800 fu un periodo terribile per la valle Strona – spiega lo storico Lino Cerutti -. Le cronache dell’epoca raccontano di un inverno, nel 1815, durissimo. L’anno successivo, oltre a un raccolto scarso, si scatenò un’epidemia di tifo. Nel 1816 si contarono 19 morti, nel 1817 furono 20, il doppio di quanti se ne registravano normalmente. Provvidenziale fu l’intervento di don Migliacca che raccomandò ai suoi parrocchiani, al manifestarsi del morbo, di stare in casa. E quindi di isolarsi per non contagiare gli altri».

Anche all’epoca ci fu chi approfittò della situazione. Il segretario comunale chiese un congruo aumento a causa dei rischi che correva dovendosi recare in municipio. I «buoni» parrocchiani di Massiola obbedirono alla raccomandazione del prete, che equivaleva a un ordine. Ai primi sentori di febbre da tifo – ovvero brividi, febbre altissima, inappetenza e comparsa di «rosole» (chiazze rossastre sul corpo) – restavano chiusi in casa. Ai bisogni della popolazione provvedeva lui stesso andando di casa in casa, pur con molte precauzioni, distribuendo i sacramenti, ma anche il pane. I massiolesi dettero retta al loro parroco e lo si deduce dai documenti in cui risulta «che il luogo del decesso era “in domo eius”, quindi erano in case private e non portati in luoghi sperduti».

Con l’isolamento, don Migliacca impedì il diffondersi del tifo e salvò il paese. Ma probabilmente non salvò se stesso. Come per il medico cinese Li Wenliang di Wuhan deceduto a causa del coronavirus, nell’aprile del 1818 anche don Migliacca morì «in odore di santità, martire della carità», come riportato nel registro parrocchiale. Morte che il prete annunciò con profetica certezza, dopo aver chiesto a Dio di liberare il paese dalla peste, da allora e per sempre. Sarà un caso, ma da due secoli nessuna epidemia ha mai colpito Massiola.

Vincenzo Amato

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